Dal carburante ai cereali, passando per il litio e altri minerali economicamente sensibili. Da settimane la Cina sta facendo di tutto per incrementare le scorte delle principali risorse strategiche. Emblematico il caso del petrolio, con le raffinerie cinesi che stanno ricevendo forniture petrolifere russe a volontà, approfittando di un fortissimo sconto sui prezzi applicato da Mosca. Oppure quello delle 44 milioni di tonnellate di riserve di terre rare stoccate che, calcolatrice alla mano, fanno più di un terzo dei giacimenti esplorati nel mondo.
Per non parlare, poi, della quantità di grano stoccata da Pechino, visto che neppure sommando le riserve di grano presenti nel resto del mondo riusciamo a raggiungere gli oltre 140 megaton (milioni di tonnellate) accumulate nella pancia del Dragone. Per quale ragione la Cina ha accumulato, e sta continuando ad accumulare, quantità così ingienti di risorse strategiche? Che sia tutto collegato alla guerra in Ucraina, e quindi alla pura di restare a secco di grano, fronteggiare l’aumento del costo della benzina e riscontrare gravi problemi nel commercio globale? In parte è così, ma potrebbero esserci anche altre motivazioni.
Fiumi di petrolio
Il costo del carburante sta salendo quasi ovunque. La Cina, approfittando della partnership commerciale stretta con la Russia, ha quindi pensato bene di aumentare le importazioni di oro nero, al punto che Mosca ha scalzato l’Arabia Saudita diventando il principale fornitore di petrolio di Pechino, a dispetto delle sanzioni di Usa contro il Cremlino. In particolare, l’import del Paese asiatico è aumentato del 55% annuo a maggio.
Gli acquisti di petrolio russo, comprese le forniture attraverso l’oleodotto della Siberia orientale, del Pacifico e le spedizioni marittime, hanno totalizzato quasi 8,42 milioni di tonnellate, secondo i dati diffusi oggi dall’Amministrazione generale delle Dogane cinesi e citati dall’Ansa. Le spedizioni dalla Russia verso la Cina sono state quasi 2 milioni di barili al giorno con un aumento di circa il 25% rispetto agli 1,59 milioni di aprile.
Tra le aziende statali della Cina, che è il più grande importatore mondiale di petrolio, sono risultati attivi il colosso della raffinazione Sinopec e Zhenhua Oil, in un trend alimentato dai forti sconti dopo che le major petrolifere e di trading occidentali si sono ritirate a causa delle sanzioni. Il taglio dei prezzi ha toccato picchi del 30%, aiutando Mosca a mantenere i flussi di cassa su livelli adeguati nel mezzo dello sforzo bellico: il Cremlino ha raccolto circa 20 miliardi di dollari a maggio grazie all’export di greggio. La mossa di Pechino verso il partner “senza limiti” fa parte anche dell’attento.
Dal canto suo, in occasione del Business Forum del vertice dei Brics, Vladimir Putin ha affermato che le forniture di petrolio russo a Cina e India “crescono in modo significativo”. Non solo: Mosca sta discutendo dell’aumento della quota della Cina nel mercato dell’auto in Russia e sta trattando l’apertura di una catena di supermercati indiani nel Paese.
Lo scorso 22 giugno, il quotidiano cinese People’s Daily ha messo in risalto le dichiarazioni del premier Li Keqiang che “ha sottolineato il ruolo fondamentale della produzione di grano e dell’approvvigionamento energetico nella stabilizzazione dei prezzi delle materie prime, affermando che la Cina ha mantenuto la sua politica monetaria prudente per frenare potenziali aumenti dell’inflazione”.
In visita agli agricoltori nella provincia di Hebei, Li ha chiesto alle autorità locali di garantire l’attuazione di politiche per stabilizzare i risultati economici e dare priorità alle riforme per risolvere una serie di problemi, e ha invitato a “compiere passi accelerati nella raccolta e nello stoccaggio del grano, uno dei principali alimenti di base in Cina”. La parola d’ordine della Cina coincide quindi con stabilità. Una stabilità da cercare ed attuare ovunque, dal campo politico all’economia.
Lo stesso Li Keqiang, in sostanza, ha chiesto sforzi per contrastare l’inflazione e le carenze provocate dalla guerra in Ucraina. “L’adeguato approvvigionamento di cereali è un’ancora per la stabilità dei prezzi”, ha dichiarato, notando come “l’eccezionale” produzione nazionale contribuisca alla complessiva stabilità del mercato cerealicolo globale. Li Keqiang ha invece sollevato la questione energetica durante una visita in una società termoelettrica di Zhuozhou, raccomandando un incremento nella produzione di carbone
A caccia di grano
Vale la pena sottolineare la quantità di grano custodita nei silos della Repubblica Popolare. I dati provengono dallo Us Foreign Agricultural Service e, come detto, parlano di 140 megaton (milioni di tonnellate). Da quanto è scoppiato il conflitto in Ucraina, sui mercati mondiali mancano all’appello una sessantina di megaton. Peccato che Stati Uniti, Canada, Europa e Australia messi insieme raggiungano a malapena i 40 megaton di grano in riserva, mentre Medio Oriente e Nordafrica contano la metà delle riserve a disposizione dell’Occidente. Insomma, nel mondo c’è ancora abbastanza grano per scongiurare una carestia globale.
Ci sono tuttavia due considerazioni da fare. La prima: esistono aree geografiche particolarmente sensibili alla variazione dei prezzi di grano, che includono alcuni Paesi in via di sviluppo o comunque non sviluppati. La seconda: la maggior parte di grano disponibile è posseduto dalla Cina, e non bastano i suoi 1,4 miliardi di abitanti a giustificare uno stoccaggio del genere. Una così elevata quantità di scorte, in pratica, è figlia di una politica ben precisa, avviata ben prima dell’inizio della guerra ucraina. Cosa ha spinto Xi Jinping a fare questa mossa?
Ci sono due possibili spiegazioni. La spiegazione numero uno chiama in causa una vecchia ossessione di Pechino, da sempre terrorizzata dal problema dell’autosufficienza alimentare (è anche per questo che il Dragone ha allungato i suoi tentacoli in Africa e America Latina). L’altra spiegazione è prettamente economica. I funzionari del Partito Comunista Cinese possono aver previsto un rimbalzo della domanda mondiale di cereali nel periodo post Covid, e hanno quindi pensato bene di incrementare le scorte (in passato, infatti, l’inflazione e il carovita provocarono pericolose proteste).
Minerali e terre rare
Per quanto riguarda minerali e terre rare, o comunque risorse necessarie per la costruzione di automobili, alta tecnologia e tanto altro ancora, il discorso cambia di poco. Mentre il resto del mondo vede diminuire le proprie scorte, la Cina assiste ad un processo inverso. La Repubblica Popolare possiede il più grande tesoro mondiale di titanio ed esporta una quantità significativa di tungsteno negli Stati Uniti. La nazione asiatica domina anche il commercio minerario e minerario nei Paesi in via di sviluppo che esportano grandi quantità di minerali critici.
Giusto per fare un esempio, la Cina detiene la maggioranza del 70% del cobalto estratto nella Repubblica Democratica del Congo, il più grande fornitore mondiale di metallo. Pechino considera da tempo le terre rare come un’industria strategica, e cerca di mantenere o espandere il proprio controllo sui prezzi e sulla loro produzione mondiale. Una componente chiave di questa politica è il consolidamento delle società minerarie nazionali di terre rare, che Pechino ha perseguito strenuamente nell’ultimo decennio
Diplomazia o strumento di dominio
Arriviamo così al punto focale: qual è il reale scopo della Cina? Cosa si nasconde dietro a questo continuo stoccaggio di risorse strategiche? Anche in questo caso, possiamo azzardare alcune ipotesi. È possibile che Pechino possa utilizzare benzina, grano e minerali in eccesso per rivenderli sui mercati internazionali e battere cassa, dati i loro prezzi alle stelle, o comunque in continua crescita. È pur vero che, facendo così, Xi andrebbe a rovinare i piani di Putin, che non potrebbe più utilizzare l’arma del ricatto del grano o del petrolio. Inoltre il grano, a differenza del petrolio, non può essere stoccata all’infinito, data la sua deperibilità.
La seconda ipotesi non riguarda tanto lo sfruttamento di tali risorse per fini economici, quanto per scopi diplomatici. Se così fosse, la Cina potrebbe usare le sue scorte in eccesso per creare una sorta di diplomazia umanitaria, così da offrire aiuti ai Paesi più poveri e colpiti dalla crisi economica generata dalla guerra in Ucraina. Per accrescere il proprio soft power e stringere nuovi accordi.