Il governo del Kosovo ha rinviato di un mese, fino al primo settembre, il divieto dell’uso di documenti e targhe dei veicoli serbi nelle regioni del nord a maggioranza serba. Il divieto, che doveva entrare in vigore oggi, ha scatenato ieri sera violente reazioni dei serbi del Kosovo che hanno eretto barricate e sparato contro la polizia sulle strade che portano ai valichi di Jarinje e Brnjak. Le tensioni tra Pristina e Belgrado, mai sopite, si sono improvvisamente riaccese.
Il primo ministro Albin Kurti ha sostenuto ieri che il divieto di documenti serbi è una misura di reciprocità, in quanto la Serbia – che non riconosce l’indipendenza della sua ex provincia a maggioranza albanese – chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. La popolazione serba, che è maggioritaria nel nord del Kosovo non riconosce l’autorità di Pristina e rimangono fedeli a Belgrado, da cui dipendono finanziariamente, e resta legata alle strutture parallele che Belgrado mantiene nel Paese.
Posizione contestata da Richard Grenell, ex inviato speciale degli Stati Uniti per i negoziati di pace tra Serbia e Kosovo, che in un tweet ha detto: “Ho molti amici in Kosovo che sono molto arrabbiati con Kurti. Il popolo merita un leader che vuole un lavoro, non un conflitto. Il Kosovo merita di meglio”, ha scritto. “Kurti sta causando questi conflitti con la sua mossa unilaterale di vietare i documenti d’identità e le targhe serbe”, ha osservato l’ex funzionario.
Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, ha affermato che la situazione in Kosovo “non è mai stata così complessa” per la Serbia e per i serbi che lì vivono. Ha affermato di sperare in un gesto di distensione tra Pristina e Belgrado entro la giornata di oggi, secondo quanto riporta la Tass. “Credo che avremo presto buone notizie”, ha detto Vucic ieri sera all’ emittente Tv Pink.
Non poteva certo mancare un intervento russo in questa nuova scintilla tra il pro-occidentale Kosovo e Belgrado, alleato storico di Mosca. Ci ha pensato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova che ha parlato “di un’altra prova del fallimento della missione di mediazione dell’Unione europea. e che “i serbi non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà, e si prepareranno a uno scenario militare”.
La Nato è pronta a intervenire nel nord del Kosovo con la sua missione Kosovo Force (KFOR) qualora la sua stabilità sia “a rischio”: così una nota diffusa dall’Alleanza Atlantica. La Kfor – conclude la nota – prenderà tutte le misure necessarie per mantenere un Kosovo sicuro in ogni momento”. La Kfor, forte di circa 3.500 uomini, è presente in Kosovo dalla fine della guerra nel 1999, sulla base della risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza delle nazioni unite.
Sulla decisione del Kosovo di spostare le misure al 1° settembre. Interviene l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell: “Ora ci si aspetta che tutti i blocchi stradali vengano rimossi immediatamente. Le questioni aperte dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo facilitato dall’UE e l’attenzione è sulla normalizzazione globale delle relazioni tra Kosovo e Serbia, essenziali per i loro percorsi di integrazione nell’UE”.
Anche Caroline Ziadeh, la Rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Kosovo, segue con preoccupazione gli sviluppi nel Kosovo settentrionale e fa un appello alla calma, al ripristino della libertà di movimento e affinchè si eviti un’ulteriore escalation. “Esorto tutti ad affrontare i problemi in buona fede attraverso il dialogo facilitato dall’Ue, per rafforzare la stabilità e la sicurezza per tutti”.