reddito di cittadinanza La coalizione di centrodestra si appresta a prendere in mano le redini del Paese, e i riflettori sono tutti puntati sul programma di governo di Giorgia Meloni e dei suoi alleati. Una delle primissime mosse del nuovo esecutivo, già con la prossima Legge di Bilancio, dovrebbe riguardare con tutta probabilità il reddito di cittadinanza. Il centrodestra ha infatti annunciato a più riprese una profonda revisione del provvedimento, e da più parti all’interno della coalizione si è persino paventata l’idea di un’abolizione.
L’ipotesi più accreditata (e percorribile), ad oggi, sarebbe quella che porta ad una revisione della misura, dal momento in cui la strada che conduce all’eventuale cancellazione del sussidio si prospetta tutta in salita, e non soltanto per il delicato contesto socioeconomico in cui maturerebbe (che richiederebbe già di per sè una forte assunzione di responsabilità da parte del nuovo esecutivo).
Il reddito di cittadinanza sembra infatti rientrare nella categoria dei cosiddetti diritti acquisiti, ovvero di quei diritti che una volta entrati a far parte della sfera giuridica di un soggetto diventano immutabili, anche nel momento in cui dovessero intervenire dei cambiamenti dell’ordinamento giuridico.
Ragion per cui, quand’anche in futuro dovesse avvenire una modifica dell’attuale disciplina del provvedimento, questa non andrebbe in alcun modo ad incidere sulla posizione di quei beneficiari che ne abbiamo fatto richiesta attenendosi alla vigente normativa (come già avvenuto con il Rei), che prevede in favore dei percettori un periodo di erogazione pari a 18 mensilità consecutive (con possibilità di rinnovo). Un eventuale provvedimento di cancellazione del sussidio grillino, con conseguente stop anticipato dei pagamenti ai beneficiari, potrebbe dunque rappresentare motivo di incostituzionalità. Ragion per cui il nascituro esecutivo difficilmente opterà per un’abolizione della misura.
Purtuttavia, ciò non equivale a dire che il pagamento del sussidio non possa essere in alcun modo sospeso prima della scadenza naturale fissata, come detto, in 18 mesi. La stessa normativa vigente prevede, infatti, la sospensione della misura al venir meno dei requisiti d’accesso o qualora sia intervenuta una sanzione che ne implichi la decadenza. Nel dettaglio, sarebbe sufficiente che i centri per l’impiego iniziassero a tracciare le offerte di lavoro presentate ai percettori (cosa che fino ad oggi è avvenuta solo sporadicamente) ed applicare la relativa sanzione in caso di rifiuto. L’attuale disciplina prevede infatti che ogni beneficiario possa rigettare al massimo due offerte di lavoro congrue, o una nel caso in cui sia già avvenuto un rinnovo (come nella maggior parte dei casi), pena la perdita del beneficio. Alla luce di ciò, “basterebbe” applicare alla lettera la normativa vigente (e una sola offerta di lavoro rifiutata) per ridurre drasticamente l’attuale platea dei beneficiari unitamente ad abusi, illeciti e sperpero di denaro pubblico.