Larve – All’estero sta incontrando un entusiasmo sempre più crescente la terapia con larve di mosca verde (lucilia sericata) utilizzata come cura in diversi ambulatori e anche ospedali (soprattutto inglesi e tedeschi) in caso di ferite necrotiche e infette come, ad esempio, ulcere del piede diabetico, ulcere da decubito, da stasi venosa e ustioni che non rimarginano. È stato il quotidiano britannico The Guardian, recentemente, a puntare i riflettori su questo trattamento (noto anche come “terapia larvale”, “terapia di sbrigliamento dei vermi” o “biochirurgia”) che in realtà, però, non è affatto nuovo, dal momento che ha una storia antica che risale agli inizi della civiltà.
Si sa, ad esempio, che i guaritori Maya dell’America Centrale inzuppavano le medicazioni nel sangue del bestiame e le esponevano al sole prima di applicarle su determinate lesioni, aspettando che le medicazioni si contorcessero di vermi. Anche la tribù aborigena Ngemba del Nuovo Galles del Sud e il popolo delle colline del Myanma settentrionale (Birmania) vi hanno fatto ricorso per la cura delle ferite lente a guarire.
A dire il vero, solo una minoranza delle circa 80.000 specie di mosche ha proprietà che ne consentono l’uso medico e, in particolare, quelle attualmente più utilizzate sono le larve della mosca verde, L sericata, quelle che amano passeggiare sulla cacca per intenderci.
Le larve sono fatte schiudere in ambienti sterili in condizioni controllate e, una volta disinfettate, vengono inserite in sacchettini simili a quelli del the da posizionare sulle ferite per quattro giorni e che devono essere fermati con una benda adesiva. In sostanza la medicazione deve essere fissata con un cerotto traspirante per evitare la fuoriuscita delle larve e permettere al contempo il drenaggio del tessuto necrotico liquefatto e lo scambio gassoso di cui le larve hanno bisogno.
Una volta a contatto con la pelle, infatti, le larve si nutrono del tessuto morto che trovano nella carne infetta e di conseguenza dei batteri che vi proliferano, trasformano il tessuto in liquido e lo digeriscono lasciando intatte le cellule sane. Nel frattempo, secernono alcune sostanze che agiscono come cicatrizzanti e anche ammoniaca, facendo diventare le ferite più alcaline (il che, ritengono gli studiosi, contribuisce a inibire la crescita batterica).
Inizialmente le larve hanno le dimensioni di un chicco di riso crudo, ma in quattro giorni crescono di 10-12 mm. Non avendo denti né pungiglioni, però, non mordono e non si moltiplicano, non essendo ancora individui maturi. Si limitano a mangiare i tessuti necrotizzati, di conseguenza eliminano anche gli odori sgradevoli, riuscendo nel frattempo a guarire ulcere e ferite anche molto gravi.
L’utilità della terapia sbrigliante con larve è ben documentata nella letteratura scientifica. Dunque, siamo di fronte a un’alternativa reale che le strutture ospedaliere dovrebbero tenere in considerazione, a maggior ragione se si pensa alle conseguenze che possono derivare dalla mancata guarigione delle ferite croniche, ad esempio dolorosi interventi chirurgici di ripulitura delle lesioni e, in certi casi, addirittura amputazione. Dal punto di vista economico, inoltre, le ferite infette rappresentano una spesa non indifferente per i sistemi sanitari.
Si tratta, quindi, di superare l’iniziale disgusto (da parte dei pazienti) e di acquisire maggiore familiarità con questo metodo di trattamento (da parte degli operatori sanitari). Infatti, si sta parlando pur sempre di un atto medico che richiede particolari accortezze e cautele, ad esempio, evitare di posizionare le larve vicino agli occhi, alle vie superiori del tratto gastrointestinale o respiratorio. Inoltre, la terapia larvale non è indicata in caso di ferite con vasi sanguigni esposti eventualmente connessi a organi vitali profondi e occorre prestare attenzione in modo da evitare che le ferite si chiudano al di sopra delle larve.
In ogni caso, una volta che il personale è adeguatamente informato, vari ricercatori concordano sul fatto che la terapia larvale può essere eseguita facilmente e rapidamente in modo sicuro e conveniente.
Di fronte alla crescente resistenza agli antibiotici, alle infezioni croniche, alle malattie immunosoppressive e al diabete, questo antico rimedio potrebbe essere davvero un’arma formidabile.