Ucraina, Zelensky: le armi non bastano: i fondi Usa finiti dicembre

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WASHINGTON. Il flusso di armi statunitensi verso l’Ucraina è drasticamente calato negli ultimi due mesi. Non è la conseguenza di una decisione politica, ma una strada resasi necessaria poiché il Congresso non ha deliberato ulteriori stanziamenti per Kiev. E a meno di clamorosi e imprevedibili colpi di scena sino a metà gennaio un accordo sul budget alla Camera e al Senato appare improbabile.

«I fondi – spiegano i funzionari dell’Amministrazione – saranno finiti alla fine di dicembre» e la decisione di ridurre l’ammontare degli stanziamenti (l’ultima tranche è stata di appena 100 milioni la scorsa settimana) è il risultato di una strategia con la quale si è privilegiata la continuità piuttosto che il ritrovarsi senza più disponibilità a fronte di invii di armi più ingenti.

Sinora l’Amministrazione ha utilizzato oltre il 97% dei fondi disponibili e altri stanziamenti esigui potrebbero arrivare fra 10-15 giorni. Ma la coperta è corta. Giovedì il presidente ucraino Zelensky ha concesso un’intervista alla Associated Press, la più grande e rispettata agenzia di stampa Usa, in cui ha consegnato un duro messaggio ai sostenitori della Nato e soprattutto a Washington. Ha ribadito che il conflitto in Medio Oriente sta distogliendo attenzione alla causa ucraina, ma soprattutto ha denunciato la carenza di armi per i soldati al fronte. Un affondo che ufficialmente la Casa Bianca ha ignorato non c’è stata alcuna replica ufficiale. D’altronde lunedì al vertice Nato dei ministri degli Esteri Antony Blinken aveva ribadito l’incrollabile sostegno Usa agli ucraini sino a quando necessario.

Tuttavia, sono arrivate delle puntualizzazioni da parte di John Kirby, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa che con garbo e precisando di «non volere mettere in discussione le parole di Zelensky», ha argomentato così la posizione statunitense. «Abbiamo sempre dato supporto militare a ogni livello e a un ritmo incredibile, ogni pacchetto di aiuti è stato deliberato e inviato a seguito di consultazioni con i generali ucraini».

La decisione su quali armi inviare e quali no ha sempre seguito un percorso chiaro: il Pentagono valutava insieme agli ucraini la situazione sul terreno e in base a questa si decidevano le necessità sul tipo d’arma più utile per contrastare i russi. C’è stata la stagione degli Stinger; quella in cui i Javelin sono diventati preziosi; poi i missili a corto e medio raggio; sino ai carri armati Abrams e poi agli F16 su cui l’Amministrazione ha aperto all’addestramento dei piloti. La convinzione degli esperti militari è che gli F16 non possono al momento essere utili, fra l’altro ne servirebbero ben oltre le decine a disposizione perché siano efficaci.

Kirby ha quindi assicurato che gli Usa «hanno fatto il possibile per la sicurezza dell’Ucraina non solo intervenendo direttamente ma anche coalizzando un fronte internazionale pro Kiev». In quest’ottica sono da leggere gli appuntamenti a Ramstein del Gruppo di Contatto guidato dal segretario della Difesa Lloyd Austin e la presa di posizione ribadita da Blinken di un sostegno fino a quando sarà necessario. Per quanto concerne invece i timori che i radar Usa siano puntati essenzialmente su Gerusalemme e Gaza, Kirby ha rassicurato che l’Ucraina «è in cima alle preoccupazioni di Biden».

Al di là delle dichiarazioni di Zelensky, il vero problema dell’Amministrazione non è nelle trincee ucraine, ma al Congresso dove oltre cento deputati repubblicani sono contrari a finanziare il conflitto. Chiedono che i fondi siano commensurati a stanziamenti importanti e politiche concrete sul fronte del contrasto dell’immigrazione illegale al confine con il Messico; e inoltre vogliono vedere una strategia per porre fine alla guerra.

Kirby ha riconosciuto che il «pacchetto sicurezza si sta riducendo e serve che il Congresso vari un provvedimento temporaneo». Inoltre, a Washington si teme che la mancanza di azione mandi un pessimo messaggio sia agli alleati europei sia soprattutto a Putin.

La scorsa settimana alcune fonti dell’Amministrazione avevano lasciato intendere che il conflitto è ormai in una situazione di stallo da cui è difficile uscire. E questo nonostante uno sforzo gigantesco degli Usa. Alcune cifre: comparando gli aiuti – militari e finanziari – forniti all’Ucraina nel 2021 con quanto stanziato in passato per sostenere altri paesi, la spesa per Kiev – in percentuale rispetto al Pil – doppia quella per Israele nel 1979 ad esempio ed è di gran lunga in vetta. L’Ucraina nel 2021 è stato il maggiore ricevitore di aiuti con 76,8 miliardi di dollari davanti a Israele 3,3 miliardi, Giordani, 1,6 miliardi. Una sproporzione che ha spinto diversi deputati a irrigidirsi dinanzi alla proposta dell’Amministrazione Biden di stanziare 61,4 miliardi di dollari all’interno del pacchetto da 106 miliardi inviato in ottobre a Capitol Hill e ancora lì giacente in attesa di discussione.

A complicare lo scenario è la controffensiva. Al 12 ottobre l’Ucraina – il report è del centro studi CSIS di Washington – era avanzata mediamente di 90 metri al giorno nel fronte sud al picco dell’offensiva. La Russia, che ha pur perso terreno è però riuscita a estendere i campi minati in diverse aeree. Secondo gli esperti l’offensiva ucraina, iniziata in giugno, ha ancora chance di successo ma deve essere sostenuta maggiormente dai Paesi occidentali.

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