Corte costituzionale: «urbanistica» competenza sarda

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Competenza I Giudici respingono il ricorso dell’Esecutivo sulla legge approvata nella scorsa legislatura su varianti e «usi civici»

Il verdetto arriva dal Colle più alto di Roma. Il tempismo è quello della cronaca, la forza è quella della storia “costituzionale” della Sardegna. I poteri dello Stato da sempre si misurano in autorevolezza e simboli. La Piazza del Quirinale, nel cuore della Capitale, per esempio, dai tempi che furono, si divide in due Palazzi, al centro quello della Presidenza della Repubblica, a lato, come una sentinella delle leggi, quello della Corte Costituzionale.

La coincidenza

Quando le agenzie stanno battendo i primi flash sull’accordo Stato-Regione sulle aree da devastare a colpi di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, nel Palazzo della Consulta i Giudici supremi stanno decidendo sulla Sardegna, sui suoi poteri “costituzionali” e statutari in materia di “Governo del Territorio”, sulle competenze primarie a partire da quelle su «Urbanistica e Edilizia». Sembra una coincidenza astrale, ma non lo è. Proprio nel momento in cui un accordo “capestro” sta imponendo alla Sardegna migliaia di ettari di pannelli fotovoltaici da schiaffare nelle migliori terre agricole dell’Isola e migliaia di pale eoliche da conficcare nei promontori più suggestivi, nelle sale della Corte delle leggi si sta esaminando un ricorso pesantissimo del Governo Meloni contro la Regione sarda, guidata allora dallo stesso centrodestra di Roma. L’oggetto del contendere è una legge approvata dal Consiglio regionale il 23 ottobre del 2023. Come spesso capita si tratta di una norma “omnibus”, di tutto di più. Il titolo è eloquente: «Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie». Sotto attacco c’è in particolare l’art. 13. Il contenuto è materia multipla: urbanistica, usi civici, energia. La sottotitolazione legislativa lo riassume: «Mutamento di destinazione in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili». Il contenuto è ancora più esplicito: «per l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili è obbligatorio richiedere il parere del Comune in cui insistono le aree individuate, il quale si esprime, con delibera del Consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti giorni, decorsi i quali se ne prescinde».

Caso di studio

Il contenzioso è un caso di studio, viste le parti invertite. Da una parte la Regione Sarda che con la sua legge voleva favorire l’insediamento delle pale eoliche e dall’altra il Governo che lo voleva impedire. A prescindere dalle posizioni sul favorire o meno la devastazione ambientale e paesaggistica della Sardegna, la questione dirimente, però, è tutta Costituzionale.

Quesiti costituzionali

I quesiti sono espliciti: può la Regione sarda pianificare l’uso del proprio territorio? Può legiferare in materia urbanistica-energetica senza confliggere con le competenze dello Stato? Con quella norma contrastata da Roma la Sardegna aveva deciso che si poteva variare la destinazione urbanistica sulle aree gravate da usi civici a condizione che il Consiglio comunale avesse accolto la richiesta di “variante” con i due terzi dell’assemblea civica. In pratica una norma che andava ad incidere su tre diversi livelli di “competenza” statutaria e costituzionale.

Il primato “urbanistico”

Il primo: la modifica urbanistica di quell’area in base all’art.3, lettera «f», dello Statuto che assegna alla Regione sarda competenza primaria su «edilizia e urbanistica». Il secondo: derubricare un terreno gravato da «Usi Civici» in area per la produzione di energia rinnovabile, in ottemperanza alla lettera «n» dello stesso art.3 della norma statutaria. Il terzo: un intervento legislativo in materia di energia avvalendosi del comma 4, lettera «e», dello Statuto che assegna alla Regione competenza concorrente su «produzione e distribuzione di energia elettrica». Chi ha impugnato la legge sarda, il Governo Meloni, non si è, ovviamente, preoccupato del fatto che la Regione volesse realizzare un parco eolico in un’area dichiarata “inidonea” dal Decreto Draghi in quanto gravata da «Uso Civico», cambiandone di fatto lo status e la destinazione urbanistica, ma l’angoscia degli uffici di Roma era ben più rilevante: quella legge poteva diventare sullo scacchiere energetico un precedente “pericoloso”.

A Roma, più di Cagliari

A Roma avevano compreso, forse più di Cagliari, che consentire alla Sardegna di usare il grimaldello della norma «urbanistica» per decidere dove fare o vietare la speculazione energetica sarebbe potuto essere un serio limite all’assalto eolico e fotovoltaico pianificato da lobby e speculatori internazionali. Per quel motivo il ricorso dell’Avvocatura di Stato alla Corte Costituzionale è stato un fulmine. Il cuore della guerra di Stato è sintetizzata nel ricorso di Palazzo Chigi all’Alta Corte: «non sarebbero stati osservati i limiti all’esercizio della potestà legislativa primaria della Regione in materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, comma primo, lettera f, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna») e di «usi civici», derivanti dal rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico e, in particolare, delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, nel cui novero rientrerebbe l’indicata norma statale interposta». In pratica gli avvocati dello Stato sostenevano che il «Decreto Draghi» e il «Codice Urbani», quello sul Paesaggio, fossero norme fondamentali per lo Stato e conseguentemente preminenti rispetto allo stesso Statuto sardo. La contestazione del Governo era esplicita: la Regione è andata oltre i suoi poteri in materia urbanistica e non solo. Un passaggio chiave, direttamente connesso al “vulnus” delle aree idonee che lo Stato sta arbitrariamente imponendo ad una Regione a Statuto speciale dotata di competenza primaria in materia Urbanistica, avvallata da una norma di attuazione che la rafforza e la amplia.

La difesa sarda

La replica dell’Avvocatura sarda guidata dall’Avvocato Generale Mattia Pani, con i colleghi Giovanni Parisi e Roberto Silvio Murroni, è tranchant: il ricorso dello Stato è inammissibile, le questioni di incostituzionalità infondate. Dunque, il verdetto della Corte Costituzionale diventava dirimente in una contesa a fulmicotone. La sentenza non si è fatta attendere: «la contestazione costituzionale del Governo è inammissibile». In pratica l’avvocatura dello Stato ha proposto solo un ricorso “politico”, con l’intento di arginare l’intervento della Regione in una materia che Roma voleva tenere sotto il proprio esclusivo controllo. Gli è andata male. Scrivono i Giudici: «non risulta adempiuto da parte dello Stato l’onere di esatta definizione della questione e di puntuale motivazione che questa Corte ha più volte ribadito essere particolarmente rilevante nel ricorso in via principale, e la cui carenza conduce alla inammissibilità».

Urbanistica, la Via Sarda

Il nuovo pronunciamento della Massima Corte ripropone, dunque, il tema dell’invasione eolica e fotovoltaica della Sardegna e dell’unica via per tentare di fermarla. Per bloccare la valanga speculativa che si sta abbattendo sull’Isola la logica delle aree idonee, per giunta condizionate dalle “imposizioni” del Decreto Draghi e in quello varato tre giorni fa con il consenso della Regione sarda, rischia di essere devastante per l’Isola. La sentenza appena emessa dalla Corte Costituzionale ribadisce,infatti, un’unica strada possibile: una norma urbanistica, forte, chiara e puntuale che «vieti», in base alla competenza primaria sull’urbanistica, lo stravolgimento della Sardegna. Del resto sarebbe la stessa via urbanistica applicata dal Governo per le Regioni ordinarie con il fine di “calmierare” il fotovoltaico nelle aree agricole. Una materia, quella urbanistica, invece, che risulta di primaria competenza della Regione sarda. Fermare l’assalto, dunque, si può, basta solo volerlo.

articolo di Mauro Pili

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