Putin Forse noi europei dovremmo riscoprire il valore della paura. La paura mantiene vigili, coscienti, permette di compiere le scelte utili alla sopravvivenza. Esattamente ciò che tutti i paesi del vecchio continente hanno perduto. I molti anni di ombrello americano ci hanno resi fin troppo pigri e sicuri di noi, incapaci di vedere la verità, e quand’anche essa ci si manifesta di fronte la cacciamo considerandola una specie di inverosimile folklore. Così accade a seguito delle ultime dichiarazioni di Putin sul possibile uso delle armi atomiche.
Il presidente russo ha ammesso, per la quinta volta in pochi mesi, che sarà disposto ad usare “ogni strumento in suo possesso per contrastare le minacce alla sicurezza della Russia anche se queste ultime derivassero dall’uso di armi convenzionali”. Gli ammonimenti si susseguono, e sempre vengono considerati alla stregua di semplici minacce. Anche per l’Ucraina fu così. Dieci anni di minacce, ammonimenti, avvisi a Europa e Usa a cui poi è seguita la guerra d’invasione di stampo imperialistico.
In Russia le parole non fluttuano nel vento come da noi; non sono meri slogan ma precise dichiarazioni d’intenti, segnali tragici di un popolo tragicamente serio.
Lo stesso Karaganov, eminente politologo sul quale ormai è calata l’ombra del fanatismo, ha più volte ribadito che se necessaria al mantenimento della sua sopravvivenza la Russia userà l’arma nucleare. Proprio in Russia e tra i russi in Italia si rincorrono voci di sconcerto; “Ma non hanno paura questi? Sono forse scemi? Perché fanno finta di niente?”.
Il capo della più grande potenza atomica del mondo dice, per la quinta volta, che l’opzione nucleare non è più da escludersi. E se il missile dovesse partire non sarà certo diretto negli Stati Uniti, dove probabilmente verrebbe intercettato, ma in Europa. Nel cuore di quel mondo da cui i russi si sentono traditi irrimediabilmente, feriti da e respinti da trent’anni. Forse in Germania, forse in Inghilterra. Tetre simulazioni di esplosioni atomiche si mostrano sui canali della cosiddetta “propaganda”. Nel caso dei russi si può stare sicuri: le minacce prima o poi diventano fatti. A meno che qualcuno, o qualcosa, disinneschi la miccia. Se non la razionalità, se non il realismo, almeno la paura dovrebbe spingerci a tentare l’impossibile per allontanare la catastrofe.
Eppure dormiamo tranquilli, pensando che siano solo minacce. Il russo minaccia, minaccia, ammonisce, minaccia, condanna, minaccia di nuovo. E poi, come in quel tragico giorno di febbraio, agisce. La pace ci ha reso ciechi, la mancanza di paura imprudenti. Tutte cose che potrebbero costarci care.