L’istigazione alla paura intesa come virtù civica e espressione di responsabilità personale e collettiva a difesa di se stessi e degli altri minacciati da pericoli imprevedibili, misteriosi e incontrastabili, ha sortito effetti eccezionali.
Uno di questi consiste nell’aver trasformato le radiose visioni e le fiduciose aspettative nel futuro in danno incombente e fatale. L’intento è quello di far intendere che l’ignoto è un rischio, perché appunto è sconosciuto. E che è più maturo e razionale sopravvivere nel noto, nel risaputo che non riserva sorprese, sempre portatrici di incognite eventualità incombenti e ineluttabili.
Basta guardare a come ci hanno dipinto il dopo Draghi, quando passata la sbornia di una minoranza irresponsabile e animalesca, risentita e rancorosa: L’Italia non vuole la crisi, titolava tutta la stampa di regime, sarà il diluvio, dovremo fare i conti con lo Spread, con la collera del racket degli strozzini che incamerate empie controriforme, taglierà la doviziosa elemosina del Pnrr, quando saremo nelle mani di una banda di sciamannati senza arte né parte, che nega nei fatti di avere retto 17 mesi, parola di Corriere, sotto la guida del nocchiero che ci ha condotto attraverso “emergenze eccezionali- pandemia, crisi economica e guerra in Europa – affrontandole con successi significativi elogiati in tutto l’Occidente!”.
Dovremmo dar ragione a Flores d’Arcais: quando si sacrifica il principio di realtà al principio di piacere, c’è da aspettarsi solo “il baratro del governo delle destre anticostituzionali (per chi ha l’elementare lucidità di chiamarlo baratro)” nel quale ci hanno fatti precipitare quelli che hanno subordinato ogni logica razionale alla voluttà di umiliare il tiranno.
Eh si, avrebbe ragione se il godimento dei rancorosi come me facesse dimenticare che finché non verrà demolito il sistema criminale dell’eurozona, continueremo a essere commissariati, indipendentemente dall’incarnazione commissariale, che il golpe è già stato compiuto quando crisi o non crisi è stato accettato che qualcuno arrivasse al delirio di onnipotenza di pretendere i pieni poteri come riconoscimento della sua indiscussa superiorità, quando è iniziata la passerella di sbrigafaccende in forza alla politica dalla prima Repubblica che copra un ruolo di burattino del Colle fino alle elezioni.
Non è cosa nuova, la lunga lista di intimidazioni e ricatti ha già inventariato da anni i pericoli che corriamo uscendo dall’eurozona, paesello periferico senza nazione e senza Stato, vaso di coccio tra partner autorevoli e poco inclini a solidarietà e sostegno, ridotto a succursale o foresteria di banche e multinazionali, nel quale è stato cancellato il ruolo di partiti e sindacati in coincidenza con quello della rappresentanza parlamentare, con un ceto di “pensatori” che ricorda i nuovi filosofi passati in forza a consiglieri di Giscard, consegnati con entusiasmo all’ideologia neoliberista, con insegnanti svalutati e umiliati, personale medico ricattato e prezzolato, ricercatori costretti o appagati di stare a libro paga delle aziende, sindaci che corrono all’arrembaggio dell’elemosina comunitaria per programmare opere dichiaratamente destinate a foraggiare corruzione e malaffare mentre intanto il territorio manomesso e senza manutenzione smotta, crolla, affonda.
Pare proprio che il pericolo, ogni qualvolta si esce dal cammino predisposto per noi dal duetto imperiale, Washington e la sua provincia ormai condannata a un ineluttabile ruolo gregario di vittima sacrificale, è che si materializzi un fallimento peggior di quello che viviamo, fatto di servitù a potenze estranee, di razionamenti, di limitazione dei servizi essenziali, di indebitamenti, di perdita di conquiste sociali, quelle del welfare svenduto. Come se adesso che al governo non è la destra dichiarata, avessimo ancora un possibilità di salvezza, come se la tutela virtuale di parole d’ordine e slogan ormai svuotati di ogni, significato: antifascismo, antirazzismo, fosse garanzia di conservazione di una dignità di popolo.
E come se la fedeltà a una utopia costruita a tavolino nei pomeriggi ventosi di un’isola ci assicurasse benessere, garanzie costituzionali, partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, conservazione del potere contrattuale, imposizione di un salario minimo dignitoso, ripristino di uno stato sociale con servizi e assistenza e cura efficienti, spazio politico aperto alle voci del dissenso e della critica.
E che la totale abolizione della verità in favore dell’impegno a uniformarsi a una ideologia dominante, a cancellare memoria e conoscenza, grazie alla strumentalizzazione della stampa, alla manipolazione delle conoscenze e delle informazioni, alla delegittimazione di fonti che non siano quelle ufficiali, sia un rischio che siamo andati a cercarci minando l’autorevolezza di un personale tecnocratico competente e ridando fiducia a una nomenclatura politica corrotta, ignorante, scollegata dai problemi della gente comune, intenta alla manutenzione di miserabili interessi di bottega.
È stato un gioco facile costruire per anni mentre si materializzava il progressivo decadimento del ceto politico e della cosa pubblica il mito della opportunità di affidarsi e confidare in una entità più grande, più moderna, cui sottomettersi per assicurarsi appartenenza a un contesto sicuro di benessere. È stato un gioco facile alimentare questa narrazione grazie al nutrimento dato alla sfiducia nello stato, al disincanto democratico, che ha favorito la convinzione che il nostro sia un paese condannato a una condizione di inferiorità che non permette di realizzare i nostri interessi nazionali, di perseguire uan politica economica, di cementare relazioni commerciali e di ricoprire un ruolo in quelle internazionali, da quanto è proibito avere una propria “politica estera” che non sia solo il doveroso contributo finanziario, l’adesione obbediente alla Nato, la cessione di territorio a scopi militari, salvo poi stupirsi se la plebe incosciente si astiene o vota la destra esplicita e dichiarata.
Pensate a questi casi, a quante sinistre allegorie hanno dimostrato la nostra resa al ricatto del capitalismo sovranazionale, anche fuori da teatri di guerra che si sono prodotti anche nel cuore del continente: basterebbe quello Ilva- Arcelor Mittal, simbolo del tradimento consumato ai danni di una città, del lavoro, della salute, dell’ambiente, quando invece di dichiarare inaccettabili le condizioni poste e firmate col sangue innocente un susseguirsi di esecutivi si è impegnato per appagare le richieste criminali della multinazionale. Basterebbe la Gkn, basterebbero le 150 imprese dichiaratamente a rischio fallimento nel 2022, o gli attacchi ai sindacati di base e la repressione del movimento dei lavoratori, a dimostrare che la sporca missione padronale globale è compiuto.
Non può bastarci la magra soddisfazione di aver cancellato quel sorriso tirato dalla faccia del becchino, questi devono essere i tempi della nostra lotta e del nostro coraggio.